“Ho riflettuto molto sulla nostra rigida ricerca, mi ha dimostrato come ogni cosa sia illuminata dalla luce del passato… in questo modo io sarò sempre lungo il fianco della tua vita e tu sarai sempre lungo il fianco della mia.”

da OGNI COSA E' ILLUMINATA - Jonathan Safran Foer

FRANCESCO IN UN ROMANZO

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Uno splendido spaccato della nostra storia scritto da altri.

"Egli pur essendo più anziano ......, è di una giovialità grandissima, ama la letteratura, la pittura, la musica."

Una testimonianza unica e irripetibile: in due brani di un romanzo di cronache della Castellammare di fine '800 è saltata fuori all'improvviso una splendida descrizione di Francesco e, allo stesso tempo, del momento in cui Eugenio ha scoperto che sarebbe diventato un pittore.

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UNA SERATA NELLA VILLA DI MORELLI
Racconto tratto dal libro
"Le acque e il Maestrale - Cronache estive di Castellammare"
di Piero Girace
(Napoli, 1937)



- prima parte -

Si vede passare, sotto il sole di mezzogiorno, nel corso Vittorio Emanuele, un giovane magro, con una barba alla Nazareno, il cravattone repubblicano, gli occhi vivacissimi: reca un fascio di carte sotto il braccio, e si avvia a passi celeri alla tipografìa Elziviriana, dove si stampa un modesto foglio paesano : «L’Amico del popolo».
Questo giovane è il direttore della tipografia e del piccolo ebdomadario politico-letterario, il quale sebbene rechi nella testata lo stesso titolo del terribile giornale maratiano è in sostanza un foglio innocente, in cui si agitano gli ideali di una gioventù sognatrice.

Il giovane si chiama Francesco Girace. Egli ha saputo della venuta in Castellammare del grande pittore Domenico Morelli, e si affretta a preparare una edizione straordinaria del giornale, per dare il saluto della cittadinanza all’ospite illustre.

In questo foglio ogni settimana, oltre i sogni amministrativi, fanno la loro apparizione, consumando più di una pagina, gli ideali letterari ed artistici di un esiguo gruppo di giovani stabiesi. I caratteri elziviri della tipografia, del tutto nuovi per Castellammare, hanno grande successo, e costruiscono, puntualmente ogni settimana, odi barbare di stile carducciano e liriche di sapore stecchettiano.
La notizia della venuta di Morelli si è propagata in un momento in tutta la città, ed ha destato storici entusiasmi in tutti i bravi e focosi artisti paesani. Essi hanno avuto agio di ammirare le tele di questo grande pittore, il quale è un temperamento sanguigno, esuberante, ricco alla maniera tizianesca, ed ha rivelato a tutti un mondo nuovo, in cui la realtà vive nella forma più aristocratica e spirituale. Egli è il creatore del realismo pittorico.
I giovani si propongono di conoscerlo di persona.

E’ il mese di luglio del 1885.
Castellammare ha una giocondità giovanile: gioconde le sue case vestite di rosa e di bianco; festose le sue strade piene di gente allegra e spaesata.
Morelli ha preso in fitto una villa solitaria a Quisisana, in prossimità della reggia borbonica.
Il direttore del giornale, appena giunge in tipografia, non si toglie nemmeno il cappello, non si asciuga il sudore che gli gronda per il volto barbuto — ha trottato non poco in lungo ed in largo per il paese — e corre subito allo scrittoio, sul quale si ammucchiano carte di ogni genere, e si affaccenda, febbrile, intorno alle bozze da correggere. Corregge ed il sudore scivola per le gote infiammate, percorre la barba rossigna, e cade sulle carte.

E’ un luglio diabolico.
Entra in quel momento, con la sua aria serena, di sognatore in pace con il mondo e con sé stesso, il pittore stabiese Enrico Gaeta, il quale ha già partecipato con successo alle grandi promotrici napoletane ed a varie mostre internazionali, come quella di un anno prima, a Torino, dove egli si è recato insieme con il suo amico giornalista. Ed il pittore ha con sé il cavalletto e la cassetta con i colori, che egli è reduce da una delle sue tante peregrinazioni su per le colline ed i monti di Castellammare, dove tutti i giorni si reca alla scoperta dei bei paesaggi stabiesi.
Ha il volto madido di sudore. La passeggiata è stata abbastanza disagevole, ed egli è stanco morto. Siede su di una sedia e si mette a conversare con il suo amico, il quale riordina le bozze sparse sul tavolo, e dice ai tipografi di dar presto mano alla tiratura del giornale.
Parlano della venuta del Maestro entusiasmandosi vicendevolmente delle ultime opere che questi ha esposto con gran successo; e dopo un poco, stabiliscono di andare insieme a fargli una visita.

— Vogliamo andare stasera? — propone il pittore.
— Benissimo. Questa sera.

La tipografìa è profonda e polverosa. II sole di estate investe le pareti, sulle quali stanno attaccati manifesti elettorali e fotografie di candidati.
Collettoni alla Crispi, baffi enormi, pose statuarie.
Sono i resti malinconici della gran baldoria delle elezioni politiche, che hanno avuto luogo due mesi fa.
Mentre parlano così — e il pittore si asciuga il sudore e il giornalista si liscia soddisfatto la barba fulva, si apre la porta a vetri della tipografia ed appare nero e gagliardo, il volto del verificatore metrico Limarzi: è un letterato finissimo ed ha tradotto da poco il Paradiso di Dante in dialetto calabrese. E’ alto, erculeo, rumoroso.
Fa risuonare l’accento della Sila in un saluto cordiale.
— Sapite che vinne Morelli?
Così dicendo egli blocca in uno sguardo interrogativo i due giovani, che danno in una franca risata.
— Eh! Se lo sappiamo! Arrivate in ritardo. Lo sappiamo da stamattina, e questa sera andremo anche a fargli visita.
Oh! Na visita a Morelli? Allure vegno pure eo.
Il calabrese traduttor di Dante è ansioso di conoscere Morelli; anche perché ha un figlio adolescente, il quale è studente dell’istituto di Belle Arti di Napoli. Questo suo figlio ha una vera vocazione per la pittura; tutto il santo giorno non fa che disegnare a penna, a lapis su di ogni pezzo di carta che trova in casa.
Il verificatore metrico non si può contenere per la gioia; egli pur essendo più anziano del pittore e del giornalista, è di una giovialità grandissima, ama la letteratura, la pittura, la musica; tutto ciò che è arte egli coltiva con la passione di un giovane.
Mentre gli amici conversano, i tipografi hanno già approntato le pagine del giornale sul marmo, ed ora danno mano alla macchina Marinoni per la stampa. La macchina è messa subito in azione, ed i giornali, freschi d’inchiostro, lucidi, incominciano ad ammucchiarsi a terra.
La testata dell’articolo di fondo — «Saluto a Morelli» — spicca con i bei caratteri pesanti romani.
Fra poco, appena la tiratura sarà ultimata, verranno gli strilloni, ed inizieranno la vendita per le strade di Castellammare.

Il direttore dell’«Amico del popolo» è soddisfatto della sua fatica, i suoi occhi brillano più del solito; egli conversa allegramente con i suoi due amici, ai quali è piaciuta molto l’idea di dare il saluto a Morelli facendo un’edizione straordinaria del giornale.
Ormai tutto è convenuto fra loro.
Questa sera a casa Morelli. Bisogna soltanto avvertire l’archeologo Giuseppe Cosenza, il quale ha già fatto un pregevole lavoro su Stabia, per cui è stato molto elogiato dal professor Spinazzola, che ha la cattedra di archeologia nella R. Università di Napoli.
Sono le quattordici e trenta.

Per il corso Vittorio Emanuele, sul quale incomincia a incombere la canicola, passano i villeggianti che tornano dalle Tenne e dalle spiagge in carrozzella.
Il direttore, prima di lasciar la tipografia, chiama il galoppino e lo spedisce alla villa Morelli a Quisisana, con una copia dell’«Amico del popolo», ancor fresco di torchio.



-seconda parte-

Alcuni giovani a piedi vanno discutendo per il grande viale che mena alla reggia borbonica di Quisisana. Le loro voci rintronano intorno, rauche, forti, stridenti. Chi sono insomma questi giovani? E che cosa voglionoche gridan tanto?

Essi sono la giovane e focosissima arte paesana, la quale si avvia a rendere omaggio al grande Pittore napoletano, che si è rifugiato nella piccola villa di Quisisana, in cerca di tranquillità.
E’ sera. Si ode risonare nel profondo viale il cigolio delle carrozze, che ritornano con i signori alle ville. Gli antichi boschi echeggiano di voci, e le coppie, — è così dolce amare in questi boschi di sera — si disperdono per i sentieri, che menano alle Fontane del Rè.
La villa del Maestro trovasi accanto a quella del Principe di Molitemo, in un luogo solitario.
La comitiva avanza, rumorosa, nel viale. Barbe repubblicane, cravattoni, cappellacci dalle larghe tese, parole grosse, erudiziene, ideali. Hanno tutti il volto fiero e gli occhi luminosi. Specie il verificatore metrico, con la sua barba da brigante silano, ed il giornalista, magro, con il cappellone e la barba diabolica.
Tutti insieme sembran degli eroi che marcino alla conquista di un fortilizio. Perché questa che fanno non è veramente una passeggiata, ma quasi una marcia.
Ci son tutti: Enrico Gaeta, pittore; Giuseppe Cosenza, archeologo; Limarzi, verificatore metrico e letterato, il quale ha condotto con sé anche il figliuolo adolescente; il signor Weiss, albergatore ed artista; Ciro Denza, pittore (fratello di Luigi autore di «Funiculì-Funiculà»); Francesco Girace, giornalista e letterato; il signor Giannetti, medico e buongustaio di musica. Tutti artisti o quasi.
Il Verificatore metrico porta con sé grandi rotoli di carta. Sono i primi saggi di suo figlio.
Arrancano.
Finalmente giungono alla villa di Morelli. Bussano. Vien loro aperto e presto sono condotti al cospetto del grande Artista.
— Maestro.
— Professore.
I saluti e le esclamazioni riecheggiano nell’anticamera.
Morelli, bonario, li accoglie tutti con molta familiarità.
Il ragazzo del Verificatore metrico se ne sta tutto confuso e stordito, e guarda incantato Morelli, che lo carezza paternamente.Il Maestro ha una barba grigia e folta, nella quale, spesso, va a disperdersi il suo sorriso benevolo. Sembra un patriarca. Ne ha tutta l’aria.
Sereno, bonario, introduce gli ospiti nella sua casa, e conversa con loro come se li conoscesse da chissà quanto tempo.
Siedono tutti in una sala, ed ivi, incominciano a sciogliere completamente la lingua, e a dar di mano ad argomenti di arte e di letteratura.
Bisognerebbe ascoltarli; parlano con calore, gesticolano. Si sentono ormai come in casa propria.
Il Maestro con i suoi modi familiari li ha liberati dall’imbarazzo. Trovarsi faccia a faccia con il grande pittore, c’è veramente da impappinarsi e diventar piccini e goffi come collegiali.
Parlano della mostra dell’anno passato a Torino. Quella è stata una gran mostra. Morelli ha avuto agio di ammirare in quella esposizione le tele di Enrico Gaeta. Magnifici paesaggi di Castellammare; il «Mattino nel burrone», il «Cortile rustico», nei quali prevale un senso obbiettivo della realtà.
Commentano i quadri di Eleuterio Pagliano, Giuseppe Bertini, Luigi Mussini, Amos Cassioli, Achille Vertunni, Gioacchino Toma, Delleani, ecc.
Ma tutto ciò, per quanto lo interessi, mantiene sulle spine il Verificatore metrico, il quale tiene accanto a sé sul sofà, i rotoli di carta, e non vede l'ora di spiegarli. L’adolescente si sente disorientato in mezzo a tutte queste barbe e zazzere. Preferirebbe andarsene a casa, a schizzar paesaggetti e figurine, sui grandi fogli ch’egli prende dallo studio del Verificatore.Morelli esce a parlare di Bonito, pittore stabiese del settecento, chiamato in arte Peppariello di Castellammare.
Quasi tutti gli ospiti ignorano che Bonito sia nato a Castellammare, e che sia stato un verace stabiese durante tutta la vita, collerico, entusiasta, valorosissimo, uomo di passione.
Ma di tutto ciò nessuno sa niente.
Morelli rimane sorpreso.
— Possibile? Peppariello di Castellammare era un ottimo pittore. Magnifico ritrattista.
Per i giovani, compreso il Verificatore metrico che si liscia la barba, la notizia è una vera rivelazione. Cosenza ne farà oggetto di un suo lungo studio, il direttore dell’«Amico del Popolo », scriverà un articolo sull’argomento, e farà la proposta al Comune di intitolare una delle strade di Castellammare al nome del grande artista stabiese.
Discutono ancora di don Giacinto Gigante che è morto da diversi anni. Don Giacinto è il rivoluzionario per eccellenza della pittura. Gaeta è stato suo allievo.
L’ora trascorre, Weiss che ha una bella voce canta una romanza di Tosti. Il signor Weiss è imponente ed atletico. Dirige una pensione molto accreditata presso gli stranieri; ma nelle ore libere dipinge o studia musica.
Morelli continua a conversare. Egli incomincerà a dipingere un quadro a Quisisana. Sarà « La preghiera di Maometto prima della battaglia ». E’ un soggetto questo che egli ha in mente da vario tempo. Le pagine di Renan hanno non poco influito su di lui.

Quella Vita di Gesù è un capolavoro; è un’opera umana, piena di poesia.
Da un certo tempo il Maestro predilige i soggetti dell’oriente: Cristo Deposto, Le Tentazioni di S. Antonio hanno avuto successi grandiosi.
L’aria di Quisisana, chiara, mite, si presta molto per creare l’atmosfera mistica della Palestina.
Questo è l’argomento più importante della serata.
Si è fatto tardi.
Il Verificatore metrico si fa coraggio alla fine e dice a Morelli:
— Maestro, vorrei farvi vedere i lavori di questo ragazzo.
Ed indica il giovinetto, che se ne sta lì, mezzo stordito.
— Sì, fatemeli vedere.
Allora il professor Limarzi, raggiante, spiega i grandi rotoli e li porge al Maestro.
Sono paesaggi, figure, fatti a penna ed a lapis.
Sussegue un religioso silenzio. Morelli osserva le carte spiegate davanti a lui.
Il Verificatore metrico attende ansioso. Infine dice: — Che ve ne pare? Che ve ne pare?
Morelli carezza l’artista adolescente che sta accanto a lui con il volto compunto e gli occhi abbassati, poi con un sereno sorriso risponde:
— Non c’è male. Per la sua età è già molto. Il giovane ha molte attitudini. Deve però lavorare ancora; lavorar molto e studiar molto.
Il Verificatore, soddisfatto ripiega i rotoli, e chiede al Maestro se è il caso di far continuare il ragazzo su quella strada.
— Bisogna farlo continuare — risponde Morelli. — II giovane ha molte attitudini.
Si fanno ancora altre chiacchiere. Nessuno si accorge che ormai è tardi. Gli ospiti non vorrebbero andar mai via; vorrebbero restare a conversare con il maestro per tutta la notte.
Alla fine si accomiatano tutti insieme, e chiedono scusa del fastidio.
Uno di essi sulla soglia dice al Maestro: — Però se lo permettete, noi ritorneremo ancora qualche altra volta quassù.
— Venite quando volete. Mi farete immenso piacere.
— Verremo, Maestro. Verremo certamente — rispondono tutti in coro.
Il direttore dell’«Amico del Popolo» è contento. Morelli ha apprezzato il suo scritto. Contento è il Verificatore. Contenti sono tutti gli altri. E come una frotta di studenti, tutti insieme, salutando, riescono nel viale di Quisisana, sul quale naviga la luna.
E’ mezzanotte.